Innocent eyes and memories of family

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I lavori di Innocent Eye devono essere analizzati per ciò che rappresentano, come segno di soggetti ben determinati. Prima ancora che con la realtà queste tele istaurano un rapporto mimetico con le immagini fotografiche che li hanno originati e più in generale con la fotografia stessa.
A uno sguardo frettoloso i dipinti di Alice possono infatti essere considerati come una sorta di “copia fotografica”, anche in virtù dell’effetto della sovraesposizione, ma in realtà si tratta di una riflessione su uno spazio emotivo, finanche intimo, nel quale la valenza affettiva dei soggetti è il prodotto delle esperienze legate ad essi.
Nel trasporre le immagini dal mezzo fotografico a quello pittorico, Alice gioca con il concetto stesso di illusorietà (realtà > fotografia > pittura) e ci spinge a riflettere sul fatto che crediamo di vedere ciò che in realtà soltanto conosciamo, mentre la visione retinica (e/o fotografica) è solo uno degli stadi della percezione visiva.
La scelta della pittura, di una modalità low tech, è una scelta in controtendenza rispetto all’attuale pervasività dell’high tech nelle discipline visive, ma in queste tele è finalizzata al recupero di una relazionalità di contatto (contrapposta al low touch: il basso contatto umano direttamente proporzionale all’hig tech), con gli altri, l’ambiente e se stessa.
I suoi ‘paesaggi’ non nascono infatti da una necessità di registrazione meccanica dei soggetti, ma dalla volontà di intraprendere una sorta di viaggio nell’immaginario e dalla possibilità di guardare il reale attraverso un occhio innocente ancora in grado di stupirsi di fronte alle cose. I suoi cinque dipinti possono quindi essere considerati altrettante tappe di un viaggio che dal generale procede verso il particolare non solo per la scelta dell’ampiezza dell’inquadratura ma, soprattutto, per una sorta di gradazione di familiarità degli stessi soggetti.

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“family memories

 

 

L’installazione “family memories”, di Alice Leonini, nasce dalla sua pittura di luce che  declina nel bianco dei panni  con la semplicità e l’ineluttabilità, che Alice, nel gesto e come un dono, possiede, restituendo a quel  bianco fisico,  tutte le valenze simboliche che della pittura le sono proprie.

I confini si fondono e percezione, vista e realizzazione, ricomponendosi asimmetricamente dall’idea di pittura di Alice, approdano all’epifania domestica dei panni s-tesi, con la semplicità e la purezza del gesto attraverso la complicità essenziale della sua “luce” mentale.

“Innocent Eye”, ora come esplosione di frammenti luminosi e ricombinati dalla serenità e dall’operosità domestica da cui provengono, formano un immaginario rosario del gesto materno e conducono, in un rituale antico, alle memorie essenziali e condivise della nostra infanzia.

Alice, con la sua volontà riparatrice, ricollega i fili di un corollario che, se a tratti riconducibile a fatiche essenziali e monotone, ci restituisce il sacro, laddove la luce e la potenza della percezione, in una teatrale e musicale rappresentazione, si manifesta.

 

 

 

Carlo Carfagni